Quella nuvola sopra la città

All’una e ventitre minuti del 26 aprile 1986 si verificò la più grande tragedia nucleare della storia dell’umanità.

In Ucraina, vicino al confine con la Bielorussia, più precisamente nella zona di Chernobyl, le barre di uranio del reattore 4 della centrale nucleare esplosero una dopo l’altra a causa di un aumento incontrollato della temperatura interna del reattore, andando a scoperchiare il tetto e riversando una nube radioattiva nell’atmosfera.

I minuti precedenti l’esplosione furono convulsi e difficili per gli ingegneri a cui era stato assegnato il turno di notte. Il loro compito era quello di eseguire un semplice test di sicurezza. Non avevano abbastanza esperienza, però, per essere a conoscenza di tutti i difetti del reattore, tali per cui, cominciato il test, ogni loro mossa non fece altro che aggravare la situazione. Fu una leggerezza del dirigente che volle effettuare il test a tutti i costi, senza considerare l’effettivo pericolo, e che costò la vita a tantissime persone.

Sul luogo accorsero i pompieri della vicina cittadina di Pripjat ignari del pericolo radioattivo. Molti di loro morirono nelle settimane successive per l’esposizione acuta alle radiazioni. Una morte orribile, con la pelle che si sfalda come si avessero delle ustioni. Una morte che non colpì solo i pompieri, ma anche molti dei soldati che nelle settimane successive dovettero ripulire il reattore dalle macerie.

Il mondo seppe solo dopo qualche giorno dell’accaduto. Naturalmente non fu il regime sovietico a informare il mondo della tragedia. Quando fu percepito alla centrale di Forsmark in Svezia che il livello di radioattività era aumentato, le autorità sovietiche dovettero dare spiegazioni dell’accaduto. Inoltre, i satelliti spia americani sopra la Russia avevano visto che qualcosa non andava sulla centrale nucleare di Chernobyl.

Poche scelte errate per gettare nel panico un intero continente, costretto a fare i conti con una nuvola mortale che prima, spinta dai venti, salì verso la Svezia e la Scandinavia per poi ridiscendere nel resto d’ Europa. Dopo dieci giorni addirittura arrivò a toccare i cieli nord americani.

Da lì in poi nella popolazione europea e italiana si diffuse la preoccupazione, e a tratti un vero e proprio panico, verso la tragedia nucleare. Ci fu la corsa nei supermercati a comprare generi alimentari di prima necessità, svuotando ogni tipo di riserva. L’incubo nucleare era arrivato.

Per fortuna dopo un primo periodo di panico, la situazione si andò stabilizzando, ma con qualche strascico. In Italia nel 1987 si votò poi un referendum contro il nucleare che fece chiudere tutte le centrali nucleari su suolo italiano. Inoltre per anni le malattie legate all’accumulo di radiazioni aumentarono nei paesi più vicini al disastro, anche se i veri danni della tragedia nucleare in vittime e danni ecologici sono difficili ancora da valutare.

Nelle vicinanze della centrale però, la vita non ricominciò più. La città di Pripjat venne sgomberata in fretta dalle autorità russe, lasciando le tracce di migliaia di residenti che non poterono più tornare. Ancora oggi è una città fantasma, con 30 km quadrati intorno alla centrale tenuti rigorosamente chiusi.